Decadenza
La cecità imposta
Di un notturno, opera 9
Echeggia nei frammenti vitrei
Della rinascita
Lei si rivela
Solita al buio
In forma luminescente
Come per ogni espero
Candida nelle ore lattanti
Poi una svolta
L’ho veduta dialogare
Con una creatura favolosa
Erebo di china, contrario suo
Punzecchiato da puntine bianche
Di morbidi pennellate
Bagnate da un segregato giglio
Parlavano soli
Sul respiro dei dormienti
E lei affascinata, la notte del 20 gennaio
Decise così
Di non sorgere
Nessuno coglieva il motivo
Lei sola
Con testa piegata, affogata nella bocca della nera melma
Sprofondava nel sepolcro
Danzante, accanto ai cipressi
Il demone un tempo cherubino
Divoratore di luce
La trascinava nella voragine
E lei ad occhi serrati piangeva
Implorava
Gridava agonizzante
Fino a perdere voce
Cadeva
In basso, sempre più in basso
Fin quando non tamponò
Il fondo
E nell’abisso sebbene spacciata
Sfidò a spada tratta il serpente
Che d’impeto la morse
Nel tentativo di vitupero fallito
Prese lei il pugnale di lama rubina
Lo vinse
Da quell’incontro col capitan di Minosse
Ha scelto, ogni notte,
Di risorgere
Con crescente bagliore
Il ciclo prosegue
Passionale, irrorando alcuni bulbi
Preferisce lasciar cadere
Le gocce dalla cicatrice
Della ferita che ancor porta appressa
Causa del suo menarca
Quest’oggi ha deciso di vantare, sfacciata
Luna bambina, quest’alba di donna
Perforata dalla rivolta
Avvolta da tenebre
Tra le quali dimena l’alone
Nel purpureo del sangue
Finalmente incendiante
I boschi sacri ai demoni
Cantante al cielo la gratitudine
Per la sua rinnovata
Straordinaria
Esistenza